Quale lavoratore dipendente, magari di una grossa azienda, di quelle dove si lavora esclusivamente in team, si identifica nelle parole di Stefano Massini? È uno dei pochi momenti, forse l’unico, che aspetto con trepidazione davanti alla tv, tutti i giovedì.
Ogni volta che narra una delle sue storia e io seduta, sul mio divano, sporgo il busto in avanti, poggio i gomiti sulle ginocchia e il mento sui pugni stretti, lo ascolto con ammirazione e forse anche con un po’ di invidia… vorrei avere io tutta quella conoscenza, vorrei come lui raccontare storie con la stessa travolgente semplicità.
E proprio ieri sera una delle sue storie ha toccato la mia vita, il mio quotidiano e chissà quante altre vite di italiani che ogni giorno si recano in quel posto chiamato lavoro, e che nessuno che ami il proprio mestiere dovrebbe apostrofare come “orrido ufficio”, abbiano pensato per un attimo “accipicchia! è proprio quello che capita a me!“.
In una “Italia del lavoro”, dove in molte aziende si pensa più all’apparenza che alla sostanza, le parole di Stefano Massini creano una crepa, su altre crepe, che facciamo finta di non percepire e che durante l’arco di una giornata stucchiamo con una sigaretta o con uno schifoso caffè per rimetterci alla scrivania e iniziare a lavorare, di nuovo.
E mentre scriviamo una relazione, stiliamo una classifica di cose da fare, creiamo un report, consultiamo statistiche, c’è chi non aspetta altro che un collega commetta uno sbaglio e lo sa bene il protagonista della storia di Stefano Massini:
Quando arriva in città e si presenta in un ufficio un posto come impiegato. Tutto si immagina fuorché di trovare quello che troverà. Perché davanti al suo sguardo, un po’ perplesso, quelle persone che dividono quel luogo di lavoro con lui gli sembra che la mattina non si alzino per venire là e svolgere una professione, sembra quasi che entrino in guerra! Che scendano in un campo di battaglia dove devono strappare sul posto di lavoro ciò che la vita non gli ha dato. E allora angherie, giochi, colpi bassi prevaricazioni.
Ed è così il personaggio di questa storia ad un certo punto commette quel fatidico sbaglio e a quel punto, i suoi colleghi, non possono fare altro che sfregarsi le mani:
Perché in questa specie di rodeo che è il luogo del lavoro dove se non riesci a strappare qualcosa non sei nessuno… beh l’errore di un altro è la tua vittoria e la sconfitta di un altro è la tua soddisfazione.
La conclusione di questa storia è tutt’altro scontata. Vi prego ascoltatela. A fine articolo ho incorporato il video per voi.
Il lavoro è un giungla. Il lavoro è un rodeo dove tanti piccoli lillipuziani mentecatti altro non fanno che utilizzare il luogo del lavoro per scaricare il proprio letame.
Cosa fare dunque? Rinunciare a lavorare? Certo che no! Nella conclusione di questo video troverete la ragione per la quale ogni mattina bisogna svegliarsi per andare a lavoro e non darla vinta ai “lillipuziani mentecatti”; perché tutto il resto è tappezzeria!